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        L’AMANTE E L’AMATO                                            23 settembre 2013

 

 Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo,  perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amore mio.   FF 277

 

In questa preghiera possiamo vedere condensato il senso profondo del rapporto fra Francesco e Cristo.

Francesco non fa la carità, la povertà, etc…..

Francesco diventa la carità.

Ma la carità perché Dio è carità, Cristo è carità.  Se A=B e B=C allora C=A.

Unico modello per la sua vita è Cristo. Ed il suo Vangelo – sine glossa.

Al suo tempo, da qualche anno, si sta riscoprendo l’umanità di Cristo. Anche nell’arte di realizzare i crocifissi. E insieme alla umanità di Cristo viene portata in luce la povertà come scelta cristiana.

Francesco mette al centro Cristo. Tutto Cristo. E cerca gli stessi sentimenti. Ora abbiamo il pensiero di Cristo (1Cor 2,16). Vive la povertà perché Cristo era povero. Ma povero per togliere qualcosa da dentro di se e fare spazio a Dio.

Ed attraverso Dio ritrovare se stesso.

Come Cristo considera la croce e la Pasqua come “la mia ora” anche Francesco mette la croce al centro della propria esperienza.

 

La croce come:

ü  Momento di salvezza e di redenzione dell’uomo, di tutto l’uomo, di tutti gli uomini. Con la tua Croce hai redento il mondo.

ü  Punto di incontro tra la terra ed il cielo, tra l’eterno ed il tempo, fra l’umano ed il divino, … il nuovo big bang

ü  Come momento di verità. Nella croce si manifestano tutte le cose … . La croce è chiave, porta, via e splendore della verità, … di tutto il reale. Gesù Cristo è il libro della sapienza scritto interamente (dentro) presso il Padre, essendo egli l’arte di Dio onnipotente, e fuori, quando ha assunto la carne … dobbiamo prendere in mano questo libro per poter comprendere i misteri della sapienza di Dio, tuttavia dobbiamo sapere che non è stato aperto se non sulla croce.    San Bonaventura

ü  Come punto di massimo assoluto dell’amore di Dio. Del Padre per il Figlio, del Figlio per il Padre, di Dio per l’uomo. E dell’uomo per Dio.

 

Francesco prega, piange, medita e vive su questo Amore di Cristo che arriva al dono totale di sé – la kenosi.

Pur essendo di natura divina non considerò …. ma spogliò se stesso. (Fil 2,…)

Non per dolorismo o sofferenza fine a se stessa. Il senso di tutto sta nell’Amore.

Forte come la morte è l’Amore. (Ct 8,6)

Francesco si spoglia di tutto. Dai vestiti resi al Padre, del titolo di cavaliere, delle ambizioni, fino a farsi sfuggire di mano anche l’Ordine.

Con questa ottica di amore fino al dono totale si possono guardare in filigrana tutti i momenti della vita di Francesco:

il dono al cavaliere povero,

l’incontro con il lebbroso,

il non avere una “propria cella”,

 

……………………………………..

 

Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. (Gal 2,20)

 

L’unione con Cristo ovviamente non avviene solo con la conformazione alla sua vita, ma anche con la preghiera che stabilisce l’unione mistica e diretta. (la preghiera sarà oggetto di altro incontro)

 

Dopo la spoliazione totale di Francesco – DI TUTTO. – Francesco vive il suo Venerdì Santo

L’unione assoluta e totale si Francesco con Cristo avviene sulla Verna nella fine estate del 1224.

Come era arrivato Francesco alla Verna? Che cosa rappresentava per lui?

Vediamo. Alla morte di Cristo …. le rocce si spezzarono (Mt 27, 51)

Francesco sulla Verna riceve l’immagine di Cristo che già portava nel cuore. E che gli si era formata anno dopo anno, dalla conversione - 1205 - , ma anche dalla nascita – 1182 -.

L’evento della Verna non può essere spiegato e capito, ma solo meditato.

Chiediamo a Dio che ci conceda il suo Spirito per entrare nel mistero della Verna.

Dopo la Verna Francesco vive quasi come un “crocifisso e risorto”.

D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo. (Gal 6,17)

Così Francesco con la mente e con la carne trapassò (fluxit) interamente dentro le cicatrici scolpite del Diletto che gli era apparso, e l’amante fu trasformato nell’amato. Come il fuoco ha potere di distacco e, consumando la materia terrestre, sempre tende verso le cose superiori, perché è sua natura levarsi verso l’alto, così il fuoco del divino amore, consumando il cuore di Francesco e incendiando la sua carne, la infiammò e la configurò trascinandola nelle sue alte regioni. Così fu compiuto in lui quello che egli chiedeva avvenisse di sé: «Rapisca, ti prego, o Signore, la mia mente da tutte le cose che sono sotto il cielo, la forza bruciante e dolce del tuo amore, perché per amore del tuo amore io muoia, perché tu per amore del mio amore ti sei degnato morire».                        (Albero della vita crocifissa di Gesù – U. Da Casale FF 2095)

 

Questa la relazione profondo tra Francesco e la Croce.

Qual è la nostra relazione?

Siamo Francescani su questo punto?

 

Occorre trovare le peculiarità del nostro essere Francescani rispetto al resto dei battezzati.

La spiritualità è peculiarità.

Non si pone la questione del “più grande”. Ma si pongono il dono ed il compito di essere Francescani.

E sulle orme di Francesco c’è un sentiero secolare da percorrere.

Non può bastare l’accenno della Reg. OFS al cap. 2 n. 10

… e  seguano Cristo povero e crocifisso testimoniandolo anche fra le difficoltà e le persecuzioni.

La croce deve illuminare tutta la nostra vita.

Posso immaginare un Cristo debole ed una Chiesa, una Fraternità, dei Cristiani forti?

Ripartiamo da Francesco.

Rivolgiamo lo sguardo sui “lebbrosi”. Su chi è escluso anche dalla Chiesa. Su chi sta fuori. Su chi viene escluso perché non contagi altri. Senza aprire Onlus o opere pie. UNO AD UNO. Francesco poteva aprire lebbrosari, ma non era questa la sua vocazione.

Col bacio non si aiuta un lebbroso, ma si diventa a nostra volta lebbrosi.

La croce è guardare i terra. Gesù crocifisso guarda verso il basso.

Il non essere in molti, il non avere una visibilità, la difficoltà a “muoversi”, …..

A volte il nostro sbracciare è nemico della croce.

Il nostro volere esserci per forza.

Il nostro scimmiottare altri.

Tutte cose che ci legano.

Ma noi dobbiamo slegarci. Come Lazzaro quando esce dalla tomba.

Dobbiamo dire:

Padre nostro che sei nei cieli,

non ho una cella mia,

non possiedo

non rappresento

non ………….

fino ad una fraternità intera che può dire: non più io che vivo ……..

 

Che Dio ci aiuti. Amen